Il Bitcoin è sempre stato un forte argomento di discussione, in grado di accendere gli animi a tutti i livelli. D’altronde, stiamo parlando di un asset in grado di travolgere il mercato, di introdurre elementi dirompenti e di impostare nuovi record.

Il tutto, sia chiaro, nel bene e nel male. Il Bitcoin è l’asset capace di registrare ritmi di crescita annui a tre cifre, ma anche di “tornare con i piedi per terra” nel giro di qualche mese. Fa riferimento a una tecnologia tutto sommato nuova, che fa gola ad aziende e istituzioni, ma allo stesso tempo genera qualche ansia per il timore dei cambiamenti che minaccia di innescare.

In questo contesto, si sono inserite molte autorità di vigilanza, che raramente hanno speso parole dolci per il Bitcoin, come per le criptovalute in generale, del resto. L’ultima a esprimersi con una certa forza è stata FCA, il maggiore ente di controllo del Regno Unito, che è intervenuto di recente (metà gennaio) a chiosa degli “strani” movimenti della criptovaluta, la quale si trova incanalata in un trend discendente piuttosto rapido, dopo aver percorso una straordinaria cavalcata al rialzo.

Cos’ha dichiarato la FCA in merito al Bitcoin? Niente di particolarmente confortante, per gli amanti di questa criptovaluta. Ma andiamo con ordine, presentando qualche nota di contesto e ragionando sulle parole di FCA.

Bitcoin, la corsa e il calo

Il Bitcoin ha abituato analisti e investitori a una volatilità fuori dall’ordinario, in grado di far impallidire quella, di per sé già molto elevata, dei titoli azionari. Tuttavia, fino a pochi mesi si credeva che i risultati del 2017, quando ha toccato in qualche mese quota 20.000 dollari, non potessero essere più raggiunto. Ebbene, gli scettici sono stati smentiti, gli ottimisti sono stati addirittura sorpassati dalla realtà.

Partendo da un minimo di 4.900 dollari circa (marzo 2020), il Bitcoin è riuscito a macinare terreno, fino a toccare quota 40.671 dollari l’8 gennaio 2021. Una crescita vicina al 900% nel giro di dieci mesi. Il trend ha subito una brusca impennata verso fine ottobre, quando la criptovaluta stazionava ancora intorno ai 12.000 dollari.

Molti hanno creduto – e credono tuttora – che il trend ascendente del Bitcoin fosse giustificato da elementi concreti, in qualche maniera intelligibili e prevedibili. Su tutti, la debolezza delle valute fiat (euro, dollaro, sterlina etc.), determinate da politiche monetarie estremamente espansiva, nonché da un generale appiattimento dei rendimenti. C’era fiducia, dunque, sulle possibilità che il Bitcoin potesse mantenere, se non i ritmi, comunque i risultati raggiunti.

Dal 10 gennaio in poi, la doccia fredda. Come nella più ripida delle montagne russe, il Bitcoin ha imboccato un trend discendente, per giunta con un angolo incidenza drammatico. Basti pensare che nel giro di due giorni ha perso il 20% del suo valore.

Non è dato sapere cosa ne sarà della criptovaluta nel breve periodo, e se questo trend discendente possa definirsi transitorio o solido. In questo momento (13 gennaio) non è possibile fare previsioni affidabili. Certo è che alcuni detrattori sono tornati alla ribalta, per giunta con il classico “ve l’avevo detto”.

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Proprio in questo contesto si inseriscono le dichiarazioni della FCA, che non può tecnicamente essere annoverata tra i detrattori, dal momento che si tratta di un ente di vigilanza solita a esprimersi con una certa cognizione di causa, ma è ovvio: le sue analisi contano.

FCA, parole di fuoco contro Bitcoin

Cos’ha dichiarato di FCA di tanto particolare? In effetti, le sue ultime dichiarazioni hanno concretizzato un significativo salto di qualità, e sono passate dall’avvertimento al monito vero e proprio. Alcuni bollano le sue affermazioni come le classiche previsioni di Cassandra, ma è innegabile che siano ben argomentate. Ad ogni modo, ecco le dichiarazioni della FCA.

Investire in criptoasset, o investimenti e prestiti ad essi collegati, generalmente comporta l’assunzione di rischi molto elevati con il denaro degli investitori. Se i consumatori investono in questi tipi di prodotti, dovrebbero essere pronti a perdere tutti i loro soldi”.

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Come vedete, non ha nominato direttamente il Bitcoin, non in questa affermazione almeno, ma è evidente che, oggi, parlare della criptovalute significhi parlare di Bitcoin.

Da dove nasce questo pessimismo? Ebbene, FCA propone due considerazioni.

In primo luogo, le criptovalute sono troppo volatili, sono asset a rischio elevato e non sono caratterizzate da un valore intrinseco.

In secondo luogo, sono al di fuori di ogni sistema di regolamentazione, il ché significa una totale assenza di tutele per gli investitori, soprattutto in caso di truffe.

FCA evidenzia esattamente proprio questo aspetto. La crescita delle criptovalute, che negli ultimi mesi è stata esponenziale (sull’onda delle performance del Bitcoin) ha determinato un aumento delle società che offrono servizi di trading su questo genere di asset. Tuttavia, parallelamente si sono create le condizioni per l’entrata in scena di società-truffa, che gli investitori, specie quelli meno attrezzati, fanno fatica a riconoscere. Da qui, il reale pericolo che i detentori – o presunti tali – di criptovalute vadano incontro a truffe.

La FCA ha comunque trattato nello specifico di Bitcoin, limitandosi però a rilevare dei parallelismi tra quanto sta accadendo in questo periodo e quanto già accaduto nel 2017. Il riferimento, manco a dirlo, è al picco del 2017 e al crollo del 2018. Implicitamente, la FCA prevede che la storia, in un modo o nell’altro, si ripeterà.

Ovviamente non è la prima volta che l’ente regolatorio britannico si è espressa sulle criptovalute. Anzi, nel recente passato è intervenuta dal punto di vista normativo. Nello specifico, ha vietato l’esercizio di servizi di intermediazione basati su criptovalute di un certo tipo. Non ci stiamo riferendo al Bitcoin, bensì ad alcune “brutte copie” che sono emerse in questi anni, e che rappresentano asset in grado di esporre a rischi ancora più elevati.

Va detto, però, che il ban riguarda principalmente i derivati (i CFD per esempio) e gli Exchange Traded Notes (ETN). Tra l’altro, il divieto è stato varato a ottobre, ma è entrato in vigore pochi giorni fa, il 6 gennaio 2021.