Le tensioni tra USA e Iran stanno tenendo banco in questa prima parte del 2020. Lo stanno facendo a più livello, da quello mediatico a quello goliardico (il riferimento è ai meme sulla terza guerra mondiali). A queste si sono aggiunti gli ultimi sviluppi in Libia, con un accordo tra le forze in campo che si sta rivelando più difficile del previsto.

Insomma, sembra proprio che Iran e Libia si siano guadagnati il ruolo di “polveriere” di questo 2020. I timori per una guerra tra più forze, magari su scala regionale e (come al solito) per procura forse sono esagerati. Certo, il rischio escalation però è già più concreto. In ogni caso, ma soprattutto nel primo, è lecito ipotizzare anche delle conseguenze sui mercati.

Proprio di questo parleremo nei prossimi paragrafi, ovvero dell’impatto sui mercati di una escalation delle tensioni o, addirittura, di una guerra nel vero senso della parola.

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Lo scenario in Iran

Fino a qualche settimana, l’Iran non sembrava dover destare problematiche di livello internazionale. Certo, le scaramucce con gli Stati Uniti erano comunque frequenti, vista l’uscita degli americani dall’accordo sul nucleare, ma niente che potesse allarmare il cittadino comune. Poi, il colpo di mano di Trump, che ha ordinato un attacco mirato contro quello che, dallo stesso presidente USA, veniva reputato un pericoloso terrorista pronto a fare del male agli americani: Qasem Soleimani, generalissimo dell’Iran e impegnati, in quel preciso momento, in una missione diplomatica in Iraq.

L’uccisione di Soleimani è stata accolta con furore dall’Iran, fino a provocare minacce pesantissime contro gli Stati Uniti, promesse di vendetta e manifestazioni in tutto il paese. Il Medio Oriente, regione in cui configgono gli interessi di varie nazioni, tra cui proprio l’Iran, aveva di colpo acquisito lo status di “polveriera”.

Le minacce dell’Iran hanno avuto seguito, a tal punto che il Governo ha fatto bombardare una base americana in Iraq. Le conseguenze sono oggetto di contestazione e di interpretazioni radicalmente diverse, con gli Stati Uniti che minimizzano e l’Iran che dichiara decine di morti americani. La situazione, attualmente (21 gennaio) sembra in una fase di stallo, per quanto l’Iran abbia dichiarato più volte che non reputa conclusa la “fase della vendetta”.

Lo scenario in Libia

La situazione in Libia è molto complessa, come lo è dal 2011 a questa parte del resto, ovvero dall’inizio della rivolta contro il fu Gheddafi e la dipartita di quest’ultimo. Lo scenario sembrava essersi cristallizzato con la divisione del paese in (almeno) due parti, diviso da due governi più o meno funzionanti che rivendicavano la sovranità sull’intero paese: il governo di Al Sarraj, sostenuto dall’Onu, dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti; e il governo del maresciallo Haftar, stabilito in particolare sulla Cirenaica.

Nell’ultima parte del 2019, la fase di stallo era stata rotta proprio da Haftar, che aveva fatto partire una campagna di conquista verso i territori presidiati dal rivale. Campagna che si è arrestata dopo i primi (comunque importanti) successi.

A inizio gennaio, però, un altro colpo di scena: il presidente turco Erdogan ha programmato l’invio di truppe per difendere Al Sarraj, evento che ha funto un po’ da sveglia per le diplomazie europee, che hanno finalmente deciso di muoversi. Risultato: sono state intavolate trattative tra i due contendenti, mirati a una tregua duratura, che però sono lungi dall’essere concluse. Ad oggi, 21 gennaio, le trattative sono ancora aperte, principalmente a causa della reciproca ostilità dei due uomini forti della Libia.

L’ipotesi peggiore

L’ipotesi peggiore dello scenario Usa-Iran è, ovviamente, lo scoppio di una guerra regionale. In realtà, nonostante l’atto clamoroso di Trump, quest’ultimo non sembra propenso a far esplodere una escalation, se si giudica dai tweet e dalle conferenze stampe delle ultime settimane, il rischio, però, è presente. Le conseguenze potrebbero essere drammatiche per la stabilità della regione, dal momento che le forze in campo sono davvero numerose, e nella zona cova comunque un conflitto tra sciiti e sunniti.

L’ipotesi peggiore dello scenario libico è simile ma ha qualche elemento di particolarità. Il rischio più grande è che le trattative falliscano definitivamente, e che l’offensiva mossa da Haftar ricominci più forte di prima. Le truppe turche però sarebbero pronte a difendere Al Sarraj, con la conseguenza di un conflitto destinato a durare. Ciò potrebbe portare a dei problemi nel commercio del petrolio e a un aggravamento dell’emergenza migratoria, dinamica che riguarda soprattutto l’Italia e non solo.

L’impatto sul mercato

Quale sarebbe l’impatto delle peggiori delle ipotesi? E’ una domanda più che legittima dal momento che i problemi in Medio Oriente e in Libia appaiono ancora di difficile risoluzione, e più volte in passato i grandi spiegamenti diplomatici (come quelli cui stiamo assistendo oggi) non hanno portato ai risultati sperati.

Si possono ipotizzare due ordini di conseguenze: uno determinato da dinamiche “generali”, espressione di una sensazione di instabilità; uno determinato da dinamiche particolari, espressione di precisi rapporti causa effetto.

Nel primo caso, è lecito attendersi una corsa ai beni rifugio. Da sempre, quando gli scenari internazionali, o anche solo finanziari, virano sull’instabile, gli investitori si rifugiano in un paniere limitato di beni, in particolare il franco svizzero e l’oro. Anzi, l’aumento delle quotazioni di questi due asset sono già oggi realtà. Rimane ancora da vedere quanto un tale trend durerà.

Nel secondo caso, ci si attendono inevitabili ripercussioni sul prezzo del petrolio. Già in questi giorni, proprio come per l’oro e il franco svizzero, stiamo assistendo a un aumento delle quotazioni. Tuttavia i rialzi sono determinati da dinamiche psicologiche (se si eccettua la mossa di Haftar di chiudere i pozzi petroliferi della Tripolitana). Se la guerra dovesse divampare, i fattori dovrebbero rivelarsi ancora più concreti, e scaturire da un calo reale dell’offerta, e non solo temuto.

Ovviamente, l’aumento prolungato del prezzo dell’oro, del franco svizzero e del petrolio per ora sono solo supposizioni, anche perché gli scenari sono in continua evoluzione. A dire il vero, le evoluzioni degli ultimi giorni (terza settimana di gennaio) potrebbero instillare un po’ di ottimismo. L’invito, però, è a non dare nulla per scontato.