Se guardiamo la tendenza generale, da due anni a questa parte il prezzo dell’oro sul dollaro, quindi il cambio XAU/USD, è in salita. Certo, le previsioni sul 2017 sono state in parte smentite dalla realtà, che ha riservato alcune insidie e un percorso ricco di ostacoli per il metallo prezioso, ma non c’è dubbio che la tendenza generale parli di una apprezzamento progressivo, per quanto lento e frastagliato.

Perché l’oro è salito così tanto (ricordiamo che a dicembre 2015 aveva raggiunto 1061 dollari l’oncia) e quali sono le condizioni affinché riproduca questa tendenza o la rafforzi nel prossimo triennio? Ecco una analisi dei fattori in gioco e qualche parere degli analisti.

Debolezza del dollaro

E’ una questione matematica: se ci si riferisce alla quotazione dell’oro in dollari, quindi al cambio XAU/USD, se il dollaro si indebolisce, l’oro si rafforza. Non stupisce, quindi, che in questi due anni il dollaro si sia indebolito rispetto a molte valute e molti asset, in primis l’euro e, appunto, l’oro. La debolezza del dollaro è stata causata da una certa prudenza nella politica di rialzo dei tassi da parte della Fed, nonostante i dati dell’economia reale sempre in linea con le aspettative o addirittura al di sopra. Nel prossimo futuro, potrebbe essere causata dalle politiche di Trump. Il presidente americano, infatti – benché nell’ultimo periodo abbia smorzato i toni per non indispettire i partner commerciali – punta a una svalutazione del biglietto verde per rilanciare le esportazioni.

Ad ogni modo, a contrastare le effetto delle sue politiche presenti e future potrebbero intervenire proprio i dati dell’economia reale che, se positivi, sosterranno certamente il valore della moneta statunitense.

Il Bitcoin

Ovviamente, questo non è un fattore che ha influenzato il valore dell’oro, ma certamente potrebbe farlo in futuro. Anche perché fino all’anno scorso del Bitcoin se ne parlava poco e niente, e non era stato ancora elevato a fenomeno internazionale. Oggi, e anzi da qualche mese a questa parte, è diverso. Il Bitcoin già a metà 2017 si stava imponendo come una valuta in grado, almeno in linea teorica, di rubare spazio al metallo giallo sul suo terreno, che è quello dei beni rifugio. I più ottimisti, alla luce dei tassi di crescita incredibile, suggerivano che il Bitcoin potesse trasformarsi in un bene rifugio, anche per via della sua correlazione negativa con le valute tradizionali.

Poi il Bitcoin ha frenato la sua corsa e quindi l’ipotesi è andata scemando. Ciò non toglie però che ormai, in un certo senso, il destino del Bitcoin e quello dell’oro possa essere intrecciato. Dunque, un futuro, magari notevole, calo del Bitcoin potrebbe giovare al metallo giallo. E’ difficile fare previsioni sulle criptovalute, dal momento che la imprevedibilità è una loro caratteristica sostanziale. Di certo, il percorso di istituzionalizzazione, che giocoforza impone una normalizzazione, potrebbe far scendere le quotazioni del Bitcoin fino a un livello giudicato fisiologico (che probabilmente non sono i 20.000 dollari registrati a fine 2017).

Le politiche delle banche centrali

E’ nota la correlazione tra quotazione dell’oro e politiche monetarie delle banche centrali. In linea di massima, quando le banche centrali si posizionano in maniera restrittiva, le quotazioni dell’oro tendono a scendere. Quando le politiche tendono a essere espansive, allora l’oro di apprezza. Il motivo è semplice: i tassi di interesse influenzano i rendimenti, e lo fanno a tutti i livelli. Dunque l’oro, in assenza di rendimenti o se questi sono estremamente bassi, offre un porto sicuro agli investitori spaventati dalla mancanza di profittabilità degli altri investimenti.

Cosa è accaduto a partire dalla fine del 2015? Semplice: la Fed, che era data per pronta alla stretta monetaria, ha proposto un percorso di aumento dei tassi di interesse molto prudente, troppo per alcuni. Senza contare il fatto che le altre banche centrali, almeno in Occidente, hanno perseverato a lungo con le politiche accomodanti, e in un certo senso lo stanno facendo tutt’ora. La BCE, per esempio, ha confermato ancora una volta i tassi a zero, per quanto abbia ridotto il Quantitative Easing e stabilito per quest’ultimo una scadenza naturale. Ad oggi, le uniche banche centrali occidentali di una certa rilevanza ad aver alzato i tassi sono quelle del Canada e della Gran Bretagna.

Le banche centrali influiranno sul prezzo dell’oro nei prossimi anni? La risposta è: probabilmente. Anche perché non sembra che siano pronte a cambiare passo, quindi il ritardo nella stretta monetaria dovrebbe giocare a favore di un apprezzamento del metallo giallo.

Rischi geopolitici

Anche in questo caso, la correlazione è abbastanza certa. Quando i rischi geopolitici aumentano, l’oro tende ad apprezzarsi. Mentre succede l’opposto se, all’orizzonte, non si preannunciano pericoli di questo tipo. Nel 2016 e nel 2017 hanno tenuto banco numerose questioni: la guerra all’ISIS, le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, la paura per una vittoria dei populisti anti-sistema in Europa (poi quasi del tutto sventato), la minaccia nordcoreana etc.. Tutto ciò è stato in grado di generare un certo allarme e ispirare, certo con pesi diversi, una apprezzamento dell’oro.

Ora, nessuno ha la palla di vetro, e quindi la possibilità di prevedere cosa succederà nei prossimi due anni sul fronte della politica internazionale. Si può affermare però che il peggio sia passato. I segnali di distensione tra nord e sud Corea fanno ben sperare, l’ISIS è stato (almeno militarmente) sconfitto, la presidenza di Donald Trump non si è rivelata quell’invasione di cavallette che si temeva e in Europa l’unico rischio politico, per altro tenuto a bada da una legge elettorale che premia le larghe intese, è rappresentato dalle elezioni in Italia.

Certo, si cammina sul filo del rasoio. Le cose potrebbero peggiorare da un momento all’altro, soprattutto in Oriente. In quel caso, presumibilmente, si assisterà a un rapido apprezzamento dell’oro.

Inflazione in crescita

Anche in questo caso, la correlazione è dimostrata. Maggiore è l’inflazione, maggiore è la spinta al rialzo dell’oro. Il motivo è davvero intuitivo: se i prezzi crescono, il denaro perde progressivamente valore e quindi l’oro viene acquistato in qualità di bene rifugio. Ora, l’inflazione nell’area OCSE è bassa da un bel po’ di anni, e d’altronde è questa la causa principale che ha spinto le banche centrali a promuovere politiche ultraespansive. Dunque, non ha inciso moltissimo sull’apprezzamento dell’oro a partire dalla fine del 2015.

Potrebbe però influire in futuro. Anche perché l’inflazione sta realmente aumentando, tornando a livelli di normalità. Secondo L’OCSE, a novembre 2017 i prezzi erano aumentati nei paesi di riferimento dell’area, del 2,4%.

Paura bolla azionaria

Sullo sfondo, c’è la paura per l’esplosione di una bolla azionaria. Il parere di molti analisti è che le ottime performance del 2017 portino a un rapido crollo. Se ciò accadesse, si configurerebbe uno scenario davvero spaventoso, simile – si spera nel principio ma non negli effetti – a quello del 2007. In un panorama oggi, come ieri, dilaniato da una paura di questo tipo è facile spiegare l’aumento della domanda dell’oro, che è tradizionalmente il bene rifugio più efficace. Certo è che, alla luce di queste semplici dinamiche, una reale esplosione della bolla porterebbe alle stesse il prezzo dell’oro.

Purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista) qualcosa del genere si sta profilando all’orizzonte. Nei primissimi giorni di febbraio, a partire dal 5, il mercato azionario è stato inondato da segni meno su tutte le borse principale. Il calo, anche se è presto per dirlo, sembra in grado di impattare con una notevole trasversalità. Sicuramente a soffrire di più sono i titoli bancari, ma una certa tendenza al ribasso è stata segnalata anche da industriali ed energetici.

Non rimane che stare alla finestra e capire, con il tempo (e un bel po’ di analisi) se il calo di questi giorni è accidentale o strutturale. Nel secondo caso, si materializzerebbero i timori degli investitori circa l’esplosione della bolla.

Parere degli economisti

Cosa pensano gli analisti delle più grandi banche di affari? Money.it ha raccolto i pareri più importanti, tracciando un quadro del sentiment degli esperti circa le speranze, per l’oro, di apprezzarsi.

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Partiamo dai più pessimisti. In prima fila c’è Capital Economics, che non crede affatto a un aumento del prezzo dell’oro. Anzi, secondo un paper prodotto a fine 2017, le sue quotazioni scenderanno. L’outlook è di 1.200 dollaro entro la fine dell’anno. Il nodo della questione è la politica monetaria della FED. ““Il restringimento della politica monetaria Fed si dimostrerà negativo per l’oro e l’argento. È probabile che il Congresso introdurrà la tanto attesa riforma fiscale all’inizio del 2018, cosa che darà gas al Pil e all’inflazione. Tutto ciò imporrà alla Fed di alzare i tassi, così il dollaro si apprezzerà”.

Molto più ottimisti gli analisti di Citigroup, che citano i rischi geopolitici come i maggiori responsabili di un futuro apprezzamento del metallo giallo. In particolare in un paper di fine 2017 si faceva riferimento alle elezioni in Occidente, agli attacchi militari e alla crisi macroeconomiche. Se tutto ciò diventerà realtà, il prezzo dell’oro salirà nel 2018 fino a sfiorare i 1.300 dollari, per superarli abbondantemente nel 2019. Per il 2020 ci si aspetta, infine, 1370-1400 dollari. Per riassumere, secondo l’analista Doshi Aakash di Citigroup, lo scenario migliore per il 2018 vede un oncia d’oro a 1.420 dollari, quello intermedio 1.270, quello peggiore a 1.168.

In linea di massima, hanno una view positiva Citigroup, Standard Chartered, Commerzbank, Thomson Reuters GFMS, HSBC, UBS Limited. Hanno una view negativa o intermedia Societe Generale e Capital Economics.

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