La manovra economica sta per essere varata tra polemiche, marce indietro, proclami e alcuni punti fermi. Molte misure sono state prima annunciate e poi ritirate. Risultato? Attorno alla Legge di Stabilità 2020 si è sviluppata una certa incertezza, almeno è questa la percezione che il cittadino medio sta traendo. Dunque è bene fare il punto su chi ci guadagna e ci perde, soprattutto dal punto di vista dell’investitore speculativo, ovvero del trader.

Lo facciamo in questo articolo, specificando cosa cambia (se qualcosa cambia) circa la tassazione sul trading.

Le tasse sul trading

L’argomento tasse sul trading genera qualche preoccupazione, specie in chi ha iniziato da poco l’attività di investitore speculativo. Non c’è niente di cui stupirsi: tale questione è tra le meno trattate a livello mediatico, anche perché i trader sono relativamente pochi, dunque i “neofiti” arrivano quasi inconsapevoli alla prova fiscale. 

Quali tasse si pagano sul trading? A quanto ammontano queste tasse? In realtà, le risposte a queste domande sono più banali di quanto si possa pensare, e anche meno drammatiche. Partiamo infatti da un presupposto: in Italia, le tasse sul trading non sono alte. Certo, in alcuni paesi la tassazione è parecchio più leggera, ma il Bel Paese non si pone, almeno questa volta, tra gli stati più severi.

Facendo riferimento, per adesso, all’assetto attuale, ovvero all’anno di imposta 2019, l’unica tassa che va pagata è quella sul capital gain. Si tratta di una tassa che grava esclusivamente sui guadagni, intesi in senso letterale, ovvero sulle plusvalenze. Già questa è una buona notizia, in quanto il prelievo non avviene sulle entrate in generale, ma agisce solo quando il trader ha realmente tratto vantaggio dall’attività di trading. Nello specifico, l’aliquota è al 26%.

E’ bene specificare due dettagli importanti. In primo luogo, i “gain” si calcolano in base alla data di chiusura della posizione. Se per esempio una posizione è stata aperta il 10 dicembre ed è stata chiusura il 10 gennaio dell’anno successivo, l’eventuale gain va menzionato nella dichiarazione dei redditi dell’anno successivo. Dunque, occhio a non commettere errori e a non posizionare in maniera scorretta i propri gain.

Un altro dettaglio molto importante, e che gioca a favore del trading, riguarda non le plusvalenze bensì le minusvalenze. Certo, le minusvalenze, ovvero le perdite di nette, rappresentano un’evenienza tutt’altro che rara per i trader. Ebbene, non solo non si paga alcuna tassa sulle minusvalenze (ci mancherebbe, suonerebbe un po’ come una beffa), ma queste possono essere portate in “detrazione” nell’anno successivo, in modo da ridurre il carico fiscale. Sicché se in un anno un trader ha prodotto 100 euro di minusvalenza e l’anno successivo ha prodotto 300 euro di plusvalenza, non dovrà pagare la tassa sui 300 euro ma su 200 euro (300-100). Questa, a ben vedere, è un ottima notizia per i trader.

L’impianto della manovra economica

Questo impianto, tutto sommato favorevole, è stato scalfito dalla manovra economica? Per rispondere è necessario prima di tutto capire in che direzione sta andando la manovra stessa, ovvero i principi che hanno mosso la sua elaborazione. Se quella dell’anno scorso ha avuto come punto cardine l’assistenza alle persone in difficoltà (reddito di cittadinanza), la revisione benché parziale della Legge Fornero (Quota 100) e un taglio delle tasse poco progressivo (Flat Tax sulle Partite IVA), questa si sta basando su ben altri principi. In primis, sulla lotta all’evasione, in alcuni casi letteralmente spietata (vedi misure sul carcere) e in secundis sulla redistribuzione del reddito.

Ciò che interessa i trader è proprio il tema della redistribuzione del reddito. Parte della politica considera chi opera sui mercati come un privilegiato, ovvero come destinatario, in senso passivo, di auspicabili misure di redistribuzione. In buona sostanza, il denaro dovrebbe transitare dagli operatori finanziari al resto della popolazione. Ora, lo strumento, per altro legittimo, per dare seguito a questo approccio, è ovviamente l’inasprimento della tassazione. Non sarebbe un qualcosa di inedito per il panorama “fiscale” italiano. Già in passato gli investitori hanno subito un aumento della pressione fiscale, il quale di norma colpiva tutti gli investimenti eccetto quelli nei titoli di Stato.

Dunque, stando a queste promesse, non si preannuncia nulla di buono per i trader italiani. Ma le tasse sono destinate ad aumentare? Risponderemo a questa domanda nel prossimo paragrafo.

Cosa cambia per i trader

Per fortuna… No. Ad oggi, inizio novembre, la manovra deve ancora approdare in Parlamento ma ha più o meno messo d’accordo tutti i partiti della maggioranza, almeno in Consiglio dei Ministri. Certo, dovrà superare la prova degli emendamenti, ma è lecito immaginare che l’impianto rimarrà più o meno invariato. Ebbene, potrà sembrare un mezzo miracolo, visto i principi su cui è stata elaborata, ma a quanto pare non ci sono novità sul capital gain, né su una eventuale rimodulazione del prelievo fiscale.

Sembra quasi un paradosso, se si pensa che sono girate voci persino sulle Partita Iva forfettario, ma è proprio così: la tassa sul capital gain dovrebbe rimanere invariata.

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Ovviamente, ciò non implica che tutti non verranno toccati dalla manovra economica. Semplicemente, se verranno in qualche maniera coinvolti, lo saranno in quanto cittadini o professionisti di altre attività, piuttosto che di trading. Dunque verranno colpiti se evadono le tasse, in quanto il Governo sta pensando a un utilizzo intensivo dell’anagrafe dei conti correnti per scovare chi spende molto più di quanto dichiara; verranno colpiti se lavorano in regime di Flat Tax ma godono di un reddito di lavoro dipendente superiore ai 30.000 euro annui (che è tornata a essere clausola di esclusione) etc. Insomma, la manovra economica tocca molti settori, ma a quanto pare sembra aver ignorato quello del trading.