Il Bitcoin è protagonista di una ascesa incredibile, che non ha precedenti nella storia del trading. Ha iniziato la sua cavalcata a inizio del 2017, quando ha intrapreso un trend ascendente che lo ha visto in certi casi raddoppiare il suo valore da un trimestre all’altro. Oggi, a fine novembre 2017, vale più di 8.000 dollari. Analisti e investitori si chiedono se il Bitcoin possa essere considerato una bolla che prima o poi si sgonfierà, gettando nella disperazione chi possiede, nel proprio portafoglio, la celebre criptovaluta.

Se si analizza il fenomeno, però, si evince che non solo mancano le condizioni per un crollo repentino ma persino che il Bitcoin non ha espresso del tutto il suo potenziale. Insomma, le previsioni almeno nel medio termine, quindi in riferimento all’anno 2018, non sono affatto negative.

In questo articolo parleremo proprio del 2018 del Bitcoin, riflettendo sui fattori che potranno favorire una ulteriore ascesa o una contrazione del valore della celebre criptovaluta.

Interesse da parte delle istituzioni

Attualmente, il Bitcoin è considerato come un ottimo strumento di trading, quindi come una risorsa per chi si cimenta, possibilmente da professionista, nell’investimento speculativo. Non potrebbe essere altrimenti, viste le incredibili performance di mercato che la criptovaluta nata nel 2009 ha fatto segnare nell’ultimo anno. La sfida del Bitcoin, adesso, è lo sdoganamento a livello internazionale e, in un ultima analisi, la conquista di uno status da bene rifugio. L’humus è fertile, anche perché alcune grandi banche, in particolare quelle legate ai paesi in via di sviluppo e ai Brics, stanno procedendo con una de-dollarizzazione delle proprie riserve, in un momento per altro in cui l’oro è praticamente snobbato. Vi è quindi lo spazio, per il Bitcoin, utile a conquistarsi un posto da bene rifugio.

Da questo punto di vista, un fattore di crescita per la criptovaluta è rappresentato dalle dichiarazioni, se non addirittura dai fatti, prodotti da istituzioni internazionali, sia commerciali che ufficiali. Insomma, se banche centrali, grandi banche commerciali e organismi politici sdoganeranno definitivamente il Bitcoin, è quasi inutile specificarlo, le sue quotazioni aumenteranno vertiginosamente anche nel 2018. Il 2017 è stato l’anno del Bitcoin come strumento di trading, il 2018 potrebbe essere l’anno del Bitcoin come bene rifugio (o semplicemente l’inizio di un percorso in tal senso).

Le condizioni ci sono. Le istituzioni sono attratte da due caratteristiche del Bitcoin: l’indipendenza dalle banche centrali e il sistema di sicurezza. L’indipendenza della valuta rifugio è una esigenza che si è avvertita a partire dalle politiche monetarie radicali messe in campo dalla Fed negli ultimi dieci anni, che hanno influito e non poco sugli investimenti. La sicurezza da attacchi informatici, invece, è un prerequisito fondamentale per la diffusione capillare e totalizzante delle transazioni online, in luogo dell’utilizzo del contante. A ben vedere, il Bitcoin ha le carte in regola in tal senso: non ha alle spalle una banca centrale che possa manipolare in maniera diretta l’offerta di moneta e si basa sul sistema delle blockchain che, certo dopo un periodo più o meno lungo di assestamento, si è rivelato piuttosto granitico.

Lo sguardo va puntato verso l’Asia. E’ lì che l’interesse “istituzionale” per il Bitcoin raggiunge la sua espressione più realistica. Uno dei tanti riferimenti è al Giappone, e in particolare al deputato Mineyuki Fukuda, tra i primi sostenitori della legge pro-Bitcoin. Secondo lui, la legge trova la sua ragion d’essere nella necessità di “spingere i giapponesi verso la società senza denaro contante, di sviluppare l’uso dello yen elettronico con il conveniente sistema block-chain che è più economico, sicuro, non falsificabile e indistruttibile”. Si evince che sono piuttosto lontani i tempi in cui il Bitcoin veniva visto come uno strumento di riciclaggio del denaro o per attività illecite.

Esito delle Fork

Il Bitcoin è una moneta in costante evoluzione. D’altronde sono apparsi evidenti fin dai prodromi del trend ascendente che la criptovaluta scontava il fatto di essere la criptovaluta più vecchia in circolazione. Tra i problemi, la lentezza delle transazioni e un sistema di emissione monetaria che, per quanto automatica, rischia di cedere il passo. Il riferimento è al mining, attività grazie alla quale è possibile, mediante potenze di calcolo abnormi, di estrarre i codici di nuova valuta. Ora, il mining diventa via via più complesso: più Bitcoin ci sono in circolazione, più è difficile “minarne” di nuove. Il rischio è che l’offerta di moneta si riduca oltre il limite auspicabile.

Il primo problema, quello della lentezza, è invece un effetto collaterale delle blockchain, quindi dell’efficacia del sistema di sicurezza. Anche qui, il problema cresce con l’aumentare della liquidità.

Plus Post

Gli sviluppatori, di concerto con la community (a sottolineare l’alto coefficiente di democratizzazione che caratterizza il mondo Bitcoin) sono corsi ai ripari. Come? Non ristrutturando la valuta, bensì ponendo in essere una hard fork: una pesante modifica del codice, talmente pesante da creare una nuova valuta.

La prima hard fork ha generato il Bitcoin Cash, che ha risolto o comunque alleggerito il problema della lentezza. Il Bitcoin Cash è otto volte più veloce del Bitcoin classico e si presenta come variante della criptovaluta più adatta ai pagamenti, e non solo dedicata al trading.

La seconda hard fork ha generato il Bitcoin Gold, che è invece intervenuto sul problema del mining, rendendolo di fatto molto più semplice.

Bitcoin, Bitcoin Cash e Bitcoin Gold sono tre valute distinte e separate. Chi pensa che si cannibalizzeranno a vicenda, o che il Bitcoin classico oscurerà i due fratelli minori, probabilmente si sbaglia. Si evince da una rapida analisi si questi mesi: le tre criptovalute, almeno per ora, sono correlate positivamente.

Ecco che il secondo fattore di crescita per il Bitcoin nel 2018 è rappresentato proprio l’esito di queste hard fork, quindi le prestazioni di Bitcoin Cash e Bitcoin Gold. Se si rivelassero esperimenti riusciti, anche il Bitcoin classico ne trarrebbe giovamento.

Ci sono buone probabilità che il Bitcoin Cash e il Bitcoin Gold ripercorrano le orme del predecessore. Le chance sono più alte per il Cash, dal momento che appare, grazie a una sapiente opera di differenziazione, in grado di brillare di luce propria. Il Bitcoin classico come strumento di trading, il Bitcoin Cash come strumento di pagamento. E’ questa la percezione che sta nascendo in seno agli investitori, ed è questa la percezione a cui dovrebbero puntare sia l’una che l’altra valuta elettronica.

La domanda di Bitcoin

Se si parla di mercato, a prescindere dal livello e dalle tipologia, non ci si può esimere dall’analisi della domanda e dell’offerta. Tutto ciò, ovviamente, vale anche per il Bitcoin. Per quanto riguarda l’offerta s’è già detto tutto o quasi tutto: il sistema del mining dovrebbe reggere ancora per bel po’. D’altronde è in programma da molto tempo la fine delle emissioni, quindi gli investitori hanno già incamerato questa informazione (non è affatto esclusa però la possibilità di un ripensamento in tal senso).

E per quanto riguarda la domanda? Qui il discorso si fa più complicato, anche perché si intrecciano elementi di natura tecnica e psicologica. Sul piano tecnico, le hard fork, e la conseguente nascita del Cash e del Gold, dovrebbero portare acqua al mulino del Bitcoin, e rappresentare quindi un fattore positivo in termini di domanda per la variante classica.

Il nodo principale, però, è quella della visibilità. Fintantoché il Bitcon si apprezza a un ritmo incredibile, la copertura mediatica rimane alta, e quindi sempre più persone si interessano al Bitcoin e, magari, lo acquistano o ci tradano su. E’ chiaramente un circolo virtuoso. Occorre analizzare uno scenario in cui il Bitcoin perde visibilità, magari perché oscurato da altre criptovalute o perché non più in grado di fare notizie. E’ questo il vero pericoloso, il fattore più importante in grado di contrarre la domanda. Da questo punto di vista, non è possibile fare molte speculazioni, vista la mutevolezza dei media (sia quelli offline che quelli online).

C’è da sperare – se siete sostenitori del Bitcoin ovviamente – negli endorsement da parte delle istituzioni (come da primo paragrafo). E’ ovvio che se una banca centrale sdogana il Bitcoin, questi conquista una ulteriore visibilità e la domanda può mantenersi a livelli alti. Andrebbero bene anche le dichiarazioni in chiaroscuro, come quelle di Mario Draghi di fine ottobre, quando ha espresso interesse e allo stesso tempo un po’ di scetticismo nei confronti del Bitcoin.

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Le altre valute

Nonostante i fattori fin qui descritti ricoprano una importanza capitale (sdoganamenti istituzionali, performance di Cash e Gold, visibilità in una prospettiva di crescita della domanda) l’elemento cruciale è un altro e riguarda la concorrenza. Il fenomeno Bitcoin ha generato vari sconvolgimenti, portando nel mercato una sorta di “primavera delle criptovalute”. In estrema sintesi, sono nate molte valute elettronica sulla scia del Bitcoin, alcune qualche anno fa altre di recente. Il problema – per il Bitcoin si intende – è questa valute elettroniche, nella maggior parte dei casi, sanno il fatto loro. Da un certo punto di vista, e restringendo l’analisi a quelle migliori, sono persino più evolute del Bitcoin. Tra le altre cose, la spietata concorrenza è uno degli elementi che ha spinto gli sviluppatori a procedere, anche in maniera abbastanza repentina, con le hard fork.

L’insidia più grande è quella portata avanti dall’Ethereum, che si fregia di un sistema di sicurezza granitico il quale, però, non interferisce poi molto sulla velocità delle transazioni. Non stupisce, quindi, che sia proprio l’Ethereum (il cui vero nome è Ether) ad aver attratto le simpatie delle più importanti istituzioni a livello mondiale. Di sicuro, un certo interesse l’ha dimostrato il governo russo, nella persona del suo primo ministro Vladimir Putin. L’episodio più importante rimane, in tal senso, l’incontro tra (appunto) Putin e Vitalik Buterin, il creatore dell’Ethereum, ai margini del Forum Economico di San Pietroburgo. Lo stesso Putin ha dichiarato che le monete digitali sono la base per creare nuovi modelli di business.

Non stupisce quindi che l’Ethereum sia, ad oggi, l’unica valuta in grado di insidiare il primato del Bitcoin. Sia chiaro, la differenza di valore è ancora abissale (un Ethereum vale, ad oggi, meno di 400 dollari) ma i ritmi di crescita sono molto sostenuti.

Un interesse analogo si apprezza anche da parte della Cina, ma non per l’Ethereum, che anzi è stato vietato, bensì per il mondo delle criptovalute in generale. Si pensa, infatti, che il colosso asiatico stia brevettando una propria valuta virtuale con la quale lanciare la sfida al dollaro. Una criptovaluta con il sostegno diretto della Cina, una prospettiva francamente pericolosa per il Bitcoin.

Se si considera che il mercato è già pieno di criptovalute in grado di brillare di luce propria, si evince che la prosecuzione del trend ascendente del Bitcoin non è poi così scontata.