Il Bitcoin non ha terminato la sua “formidabile discesa”. Dopo aver rotto tutti i supporti, e distanziato in maniera significativa la doppia cifra (in migliaia), sta proseguendo nel trend ribassista. Certo, inframezzato da movimenti al rialzo o da (poche) fasi laterali.

Molti parlano di bolla già scoppiata, altri sperano in un recupero. Altri ancora, proponendo una visione di insieme, cercano di inquadrare questa fase del Bitcoin all’interno di un ciclo ancora più grande, tale per cui il destino della criptovaluta più importante non è segnato ma, anzi, sarà in grado nel prossimo futuro di riservare parecchie sorprese.

Quale che sia la chiave di lettura, il calo repentino e drammatico del Bitcoin sortirà effetti in tutto il mondo crypto. Anzi, li sta già sortendo. Alcuni temporanei, causati magari dalla sfiducia e dalla disillusione, altri strutturali. Nell’articolo che segue, facendo riferimento a uno degli esperti in maniera, dedicheremo spazio proprio alle conseguenze che complessivamente il crollo del Bitcoin sta producendo e produrrà nel prossimo futuro.

Il crollo del Bitcoin: motivazioni e dinamiche

La situazione è ovviamente molto fluida. D’altronde il Bitcoin, anche nei suoi giorni migliori, ci ha abituato ad oscillazioni molto ampie. Al 7 gennaio, vale poco più di 4.000 dollari. E’ in leggera risalita, a dire il vero, dopo una picchiata che tra tanti alti e pochi bassi l’ha fatto precipitare dove solo i più pessimisti pensavano potesse arrivare.

Ci si può interrogare sui motivi che hanno inserito il Bitcoin in un solido quanto drammatico trend ribassista. I detrattori credono che, molto banalmente, sia scoppiata una bolla, e che quindi sia successo l’inevitabile. Tutti gli altri, riflettono sui meccanismi di formazione del prezzo del Bitcoin, che soffrono della presenza di due elementi molto particolari.

Decentralizzazione. Il Bitcoin non ha paracadute. Non c’è una banca centrale o anche solo un’istituzione che, di fronte a un crollo dei prezzi, possa arginare il fenomeno. Una moneta tradizionale è suscettibile della politica monetaria della sua banca centrale, nel bene e nel male. Una criptovaluta, e in particolare il Bitcoin, è lasciato alla mercé della libera contrattazione.

Speculazione. Il Bitcoin, come la stragrande maggioranza delle criptovalute, non è ancorato ad alcunché di reale. Certo, potrebbe basarsi sui meccanismi di fiducia delle valute tradizionali, ovvero dei mezzi di pagamento, ma per adesso questo utilizzo non è molto diffuso. Sicché c’è una sola ragione per comprare: vendere a un prezzo più alto. Dunque va da sé, se il pessimismo inizia a dilagare, tutti cercano di vendere e il prezzo scende.

Ovviamente, decentralizzazione e speculazione sono da sempre elementi correlati al Bitcoin. Quindi, il suo crollo ha comunque sorpreso possessori, addetti ai lavori e analisti.

Quanto può scendere ancora il Bitcoin? Gli scenari sono numerosi. Potrebbe verificarsi una ripresa della fiducia, oppure una stabilizzazione intorno al suo valore di produzione, unico elemento di regolazione dell’offerta. Proprio questa potrebbe essere la vera, e più importante conseguenza del crollo del Bitcoin. Ne parliamo approfonditamente nel prossimo paragrafo.

Le conseguenze per il Bitcoin stesso e il mondo delle Criptovalute

Adesso che il Bitcoin è crollato, o anche in futuro se dovesse continuare a deprezzarsi, come cambia il mondo delle criptovalute? Si possono fare delle supposizioni. Ovviamente, le conseguenze maggiori si avranno proprio sul fronte Bitcoin.

Pulizia in casa Bitcoin. Se è vero che, attualmente, il motivo principale per comprare Bitcoin è venderlo a un prezzo più alto, ciò significa che buona parte degli attori nel mercato è attratto dalle finalità speculative. Ma se Il Bitcoin crolla, e continuerà a crollare, questi attori abbandoneranno il campo a favore di chi intende usare la criptovaluta per uno scopo pratico.

Bitcoin, mezzo di pagamento. E’ il diretto corollario del fenomeno che abbiamo appena descritto. Se gli speculatori, o anche solo gli investitori che legittimamente cercano il profitto, abbandonano il mercato, a conquistarsi spazio saranno coloro che intendono utilizzare il Bitcoin come mezzo di pagamento. Non è una ipotesi peregrina. Anche perché già oggi la criptovaluta viene usata, per quanto sporadicamente, in quei paesi afflitti da una moneta in costante svalutazione e da una iper-inflazione. A rivelarlo, tra gli altri, è stato Fusco Femiano, market analyst di eToro: “Come strumento di pagamento si diffonde soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, sulla base della forza di una valuta sganciata dal mondo bancario e da instabilità economica e politica: potrà quindi avere un valore in ottica di portafoglio come asset di asset”.

Stabilizzazione del prezzo. E’ forse questa la conseguenza più realistica e importante. Una volta sgomberato il campo dagli investitori speculativi, una volta che il Bitcoin (ammesso che non scompaia definitivamente) sarà diventato qualcosa di molto simile a un mezzo di pagamento, il suo prezzo potrebbe stabilizzarsi intorno a un equilibrio tra domanda e offerta. Appunto, la domanda potrebbe essere determinata da chi cerca il Bitcoin alla stregua di una normale valuta di scambio; l’offerta potrebbe invece essere determinata dal valore di produzione. Ciò sarebbe anche una buona notizia, dal momento che i costi di produzione, attualmente, si attestano proprio sulle poche migliaia di dollari per unità. Saremmo quindi vicini al fondo del barile, al fine corsa.

Abbandono di progetti importanti. Questa è una conseguenza che riguarda tutto il mondo crypto. La verità è banale, per quanto negativa: il crollo del Bitcoin sta minando la fiducia nell’intero fenomeno crypto se non addirittura nel concetto stesso di Blockchain. Come minimo, sta aumentando la percezione che questo mondo sia ambiguo o pericoloso. Dunque, alcune aziende che avevano in mente di creare criptovalute proprie, o di contribuire nello sviluppo di altre, si stanno tirando indietro. Per esempio, stando a quanto riporta Il Sole 24 Ore, Goldman Sachs stava pensando a un desk riservato alle criptovalute, ma ha già abbandonato il progetto. Analogamente (e sempre secondo il quotidiano economico), starebbe rinviando un progetto molto importante: il lancio di una piattaforma per asset digitali. Proprio tra i suoi clienti potenziali figurava Starbucks, che aveva in mente (o ce l’ha tutt’ora) di concedere il pagamento in criptovalute.

Diffusione delle Stablecoin. Se la fiducia sulle criptovalute “classiche” scricchiola, potrebbero trarre giovamento le Stablecoin. Con questo termine si indicano valute sì virtuali, ma non totalmente decentralizzate. Ovvero, legate a un asset, o anche solo a un attività dal valore economico stabile. Per esempio, un’altra valuta, o un bene con un suo prezzo specifico. Insomma, un misto tra criptovalute e asset derivato. Ad alimentare questa ipotesi, tra le altre cose, sono le voci di corridoio che vedono protagoniste Facebook: la società di Palo Alto starebbe lavorando a una sua criptovaluta per consentire i pagamenti via WhastApp. Questa criptovaluta sarebbe, in realtà, proprio una Stablecoin.

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La fine del Bitcoin. Non è una eventualità da prendere alla leggera e nemmeno da relegare nella fantascienza. Il Bitcoin, a differenza delle valute tradizionali, che esercitano una funzione fondamentale per la vita di un paese, non è una istituzione. Potrebbe anche scomparire, se il prezzo raggiungesse livelli infimi. Questa ipotesi non è affatto peregrina, anche perché i costi di produzione, come già specificato, sono piuttosto alti. L’attività di mining impiega risorse ed energia (nel senso letterale del termine). E’ ovvio che qualora minare il Bitcoin diventasse controproducente tutti smetterebbero di fare mining e quindi il mercato andrebbe incontro a un ristagno fatale.

Azionario in difficoltà. Cosa c’entra l’azionario con il Bitcoin? Di base, niente. Se si entra nei dettagli, più di qualcosa. Alcune aziende, infatti, gestiscono attività che indirettamente o direttamente sono correlate al mondo delle criptovalute. Non sarebbe da sottovalutare nemmeno il più classico degli effetti contagio. O almeno è ciò che pensa Christopher Harvey, head of equity strategy di Wells Fargo Securities: “C’è una significativa quantità di schiuma sul mercato criptovalutario. Crediamo che quando questa schiuma uscirà allora inizierà a riversarsi ovunque”. A dire il vero, questa dichiarazione risale a quasi un anno fa, quando il Bitcoin stava iniziando a deprezzarsi, ma potrebbe valere benissimo ancora oggi.

Scetticismo generalizzato. Questo è forse lo scenario peggiore, quello più drastico. Magari, anche quello più improbabile. Ma provate a pensarci: se il Bitcoin crolla fin quasi a scomparire, se la fiducia per il mondo crypto e persino per le blockchain scende a zero, questo non avrebbe effetti sulle dinamiche del progresso tecnologico in generale? Potrebbe darsi che, da quel momento in avanti, tutti gli esperimenti che riguardano “scambi e contratti decentralizzati” vengano accompagnati da un alone di scetticismo così fitto da comprometterne lo sviluppo. Se si dà per buona questa possibilità, le conseguenze del crollo del Bitcoin si dipanerebbero nel lungo periodo.

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