In questo articolo parliamo di un argomento scottante: la psicologia del trading. Per giunta, affrontiamo uno dei sentimenti allo stesso tempo più intensi e più importanti per un trader: la paura. Checché ne dicano gli stereotipi – suggeriti da un immaginario collettivo che nella stragrande maggioranza dei casi non corrisponde al vero – la paura è uno dei sentimenti più ricorrenti in chi svolge un’attività di investimento speculativo, a prescindere dal suo grado di esperienza e dei successi che ha saputo raccogliere nel corso del tempo.

Nello specifico, faremo il punto sul rapporto tra la paura e le attività di trading. proporremo anche una soluzione al problema, la quale (è bene mettere le mani avanti) non è affatto semplice da mettere in pratica. Infine inviteremo ha una riflessione sulla propria tenuta psicologica, complicata da fare ma comunque doverosa.

Il rapporto tra la paura e il trading

La paura è una delle emozioni primordiali, non solo dell’essere umano ma di tutti gli animali. La paura è necessaria, è una risorsa che l’evoluzione ci ha permesso di conservare, in una prospettiva di autoconservazione e sopravvivenza.

La paura, questo è ovvio, emerge in presenza di un pericolo. L’istinto, quando la paura fa la sua entrata in scena, suggerisce all’individuo di fuggire o, al contrario, aggredire la fonte stessa del pericolo.

In questo specifico caso, ovvero se si parla di trading, in che cosa consiste il pericolo? È una domanda a cui è semplice rispondere: chi pratica un’attività di investimento speculativo è sempre soggetto al rischio di perdere il denaro, a prescindere dalle condizioni in cui versa il mercato e dal suo bagaglio di competenze. Ora, è impossibile “aggredire” la fonte del pericolo, se si sta praticando il trading. Dunque, non rimane che la fuga.

Non stupisce che la conseguenza più frequente nel sopraggiungere della paura sia l’uscita dal mercato e, un po’ più raramente, la completa “paralisi”. il trader semplicemente smette di operare.

Se questo atteggiamento remissivo e rinunciatario in alcuni casi realmente salva l’individuo dall’altra crea una perdita di denaro, spesso e volentieri produce effetti collaterali devastanti. Un trader fermo è un Trader che non guadagna nulla, e si lascia sfuggire le occasioni di guadagno che – pure in un contesto irto di ostacoli – emergono con una certa frequenza.

Ecco dunque che la paura si trasforma da risorsa a elemento di ostacolo, secondo la classica logica dell’arma a doppio taglio.

Un altro problema della paura è che al pari delle altre emozioni (positive e negative) che si affacciano durante l’attività di trading, è effettivamente non rimovibile. lo abbiamo accennato all’inizio: la paura è un’emozione che caratterizza tutti i trader, esperti e meno esperti, ricchi e poveri, competenti e mediocri.

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L’unica soluzione sta nel limitare gli effetti della paura, almeno quelli negativi, in qualche modo gestirla. Un’indicazione, questa, che vale non solo per il trading ma anche per la vita di tutti i giorni (sia privata che professionale).

Come fare trading nonostante la paura

Dunque, come gestire la paura? È una domanda che tutti i trader dovrebbero porsi. Anche perché, presto o tardi,  la dinamica delle cose impone all’individuo di fare i conti con questo spiacevole quanto intenso sentimento.

Gestire la paura, far sì che essa non impatti sul proprio modo di agire, significa forzare la propria natura, mettere a tacere i propri istinti. Un’impresa all’apparenza impossibile. Eppure, esiste una risorsa che, almeno potenzialmente, consente di farlo. Una risorsa che dota l’individuo di una sorta di paracadute, il quale funge da reale protezione ma anche da elemento tranquillizzante.

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Tale risorsa consiste nella gestione del rischio, o risk management. Non si tratta di una pratica come le altre, quanto un insieme di tecniche la cui finalità è realmente quella di controllare il rischio, di informare con un margine di errore sufficientemente basso circa le conseguenze dei trader. In questo modo, il trader può modulare l’ordine in base al rischio che, in modo totalmente oggettivo, reputa di poter sopportare. Alla gestione del rischio si associa sempre il Money management. Ovvero quella disciplina che, sulla scorta delle evidenze tratte dal risk management, consente di controllare le perdite e di stabilire a priori la massima perdita sopportabile.

La gestione del rischio, o Risk Management come preferite, svolge appunto il ruolo di paracadute. Da un lato consente di inquadrare il pericolo all’interno di un sistema, portandolo per quanto possibile sotto il controllo del trader; dall’altro lato la sua presenza tranquillizza l’individuo, il quale trae risorse mentali ed emotive per ridurre al minimo l’impatto della paura.

Il problema principale della gestione del rischio

Ovviamente, la tematica della gestione del rischio non è tutta rose e fiori. Anzi: anche la gestione del rischio pone in essere difficoltà importanti. Il motivo è semplice: affinché tale disciplina sia in grado non solo di proteggere dai pericoli o ridurne l’impatto, ma anche di non ostacolare il percorso verso il profitto, dove comunque si trova sempre al di fuori della zona di comfort.

Ne consegue, che il trader anche in presenza di un solido impianto di Risk Management, opera con un certo disagio. In buona sostanza, la paura di perdere capitale non lo abbandona mai. Per quanto, è bene ribadirlo, essa risulti ridimensionata, proprio perché a essere ridimensionato è il pericolo stesso.

Uscire dalla zona di comfort è sempre disagevole, ciò vale per tutti gli ambiti della vita. Eppure non esiste successo senza abbandono, temporaneo o definitivo, della zona di comfort. Nel trading ciò risulti emblematico, ma anche nella vita professionale e privata vale la regola del “Chi non risica non rosica”. Un proverbio di chiara origine popolare, ma che ha degli analoghi in quasi tutte le lingue. Segno, questo, che suggerisce una verità incontrovertibile delle dinamiche umane.

Una soluzione al problema

Da tutto questo discorso discende un’amara constatazione: l’applicazione delle tecniche di Risk Management è fondamentale, ma potrebbe non bastare. Il trader si troverebbe comunque in una condizione dominata dalla paura, senza la possibilità di ridurre in maniera veramente efficace i suoi affetti. Sia chiaro, i trader che operano con un sistema di Risk Management sono sempre più “tranquilli” rispetto ai trader completamente scoperti. Tuttavia, potrebbero non esserlo abbastanza.

Occorre, quindi, integrare il tutto con un altro genere di approccio, con un approccio squisitamente ed esclusivamente psicologico. Esso consiste in un processo di cambiamento personale, di training autogeno, finalizzato principalmente a maturare competenze specifiche. Su tutte, la capacità di resistere (almeno un po’) agli impulsi.

Non si tratta di negare l’esistenza della paura o far finta che essa non esista, anche perché impossibile. Si tratta di implementare la capacità di non obbedire alla paura stessa, di resistere all’impulso di agire secondo l’istinto. Rinuncia, questa, che appare possibile anche grazie alla presenza di un solido sistema di risk management, il quale non a caso suggerisce cosa fare e come comportarsi. In questo modo, il trader ha sempre un’alternativa pronta e razionale alle azioni che, di contro, compirebbe sotto l’impulso della paura.

Una domanda da porsi: sono tagliato per il trading?

La gestione del rischio e il training autogeno non sono discipline per stomaci deboli. In ogni caso, è necessario vantare una certa predisposizione al cambiamento personale e all’analisi (del contesto e della propria condizione emotiva).

Di norma, l’essere umano è abbastanza resiliente da riuscire a percorrere in contemporanea entrambi i binari. Una minoranza tuttavia è frenata se non letteralmente impedita da specifiche tare di personalità. Questi individui, probabilmente, sono destinati a rimanere al punto di partenza, a non riuscire a maturare le competenze adatte a gestire la paura. Ecco, a loro le porte del trading sono precluse. Prima ancora di decidere di entrare nel modo dell’investimento speculativo, quindi, verificare di non appartenere a questo tipo psicologico.