Il 2020 potrebbe essere un anno cruciale per le banche centrali più importanti, ovvero la BCE e la Fed. Entrambe, infatti, stanno preparando il terreno per un cambiamento della politica monetaria, sebbene utilizzando approcci diversi e adducendo motivazioni abbastanza dissimili. Ovviamente, le mosse “quasi improvvise” di Fed e BCE impatteranno profondamente sul Forex, producendo conseguenze sui rapporti tra le valute e, in particolare, sull’euro e sul dollaro.

Ne parliamo in questo articolo, cercando di prevedere gli scenari che potrebbero configurarsi nel corso dell’anno prossimo.

Cos’è la politica monetaria e perché viene modificata

La politica monetaria è esclusivo appannaggio delle banche centrali, sebbene in alcuni assetti istituzionali una certa voce in capitolo venga garantita anche ai governi (non è il caso della BCE e della Fed). Lo scopo della politica monetaria, ufficialmente, è di garantire un aumento dei prezzi moderato e compatibile con una crescita economica sana. Tale obiettivo viene perseguito attraverso due strumenti in particolare. Uno ordinario, ovvero i tassi di interesse, e uno straordinario, ovvero il Quantitative Easing.

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I tassi di interesse, di fatto, modificano il costo del denaro e agiscono direttamente sulla massa monetaria, nonché sulle condizioni del credito. Il Quantitative Easing è di fatto una immissione di liquidità del sistema attraverso l’acquisto – da parte della banca centrale – di titoli dei debito corporate o più spesso pubblico. Anche in questo caso si apprezza un aumento della massa monetaria. Ora, quando la massa monetaria va incontro a una modifica, si segnalano conseguenze sulle quotazioni delle valute. Da qui l’importanza cruciale che assume la politica monetaria per i trader del Forex. Senza contare l’effetto psicologico, che ha certamente un ruolo significativo.

Le banche centrali sono consapevoli dell’impatto delle politiche monetarie sul mondo degli investimenti, speculativi e non. Dunque, cercano di limitare gli effetti sui mercati delle loro decisioni. Come? Semplicemente, le dichiarano in maniera graduale e con largo anticipo. Sono molto rari i cambi di rotta repentini, dove per “repentini” si intendono anche quelli annunciati a una distanza inferiore di tre o quattro mesi.

Paradossalmente, è quanto sta accadendo in questo momento con la Fed e la BCE. Le due banche centrali stanno per apportare modifiche sostanziali alle rispettive politiche monetarie. Un evento che certamente genererà conseguenze. Perché lo stanno facendo?

Per rispondere a questa domanda occorre capire, in generale, i motivi che spingono le banche centrali a smentire se stesse e approntare modifiche d’urgenza. I motivi possono essere due.

Il contesto economico e finanziario è cambiato all’improvviso. Se l’economia sta dando segnali non compatibili con la politica monetaria, quest’ultima dovrebbe subire delle modifiche. Per esempio, quando i tassi sono alti o in procinto di essere alzati, ma allo stesso tempo l’economia sta peggiorando. Questa dinamica si rafforza quando tra i parametri in via di peggioramento c’è proprio l’inflazione (in un senso e nell’altro).

Le iniziative prese nell’immediato passato non si sono rivelate sufficienti. Alcune misure di politica monetaria sono straordinarie. Per esempio, il già citato Quantitative Easing. I programmi di Quantitative Easing sono limitati nel tempo. Può capitare, però, che una volta terminato il programma i problemi che doveva risolvere sono ancora lì al loro posto. In questo caso, sebbene in programma ci sia proprio un inasprimento monetaria post-QE, il QE stesso potrebbe tornare a configurarsi come opzione.

Ovviamente, questi due motivi non si escludono l’un l’altro. Anzi, possono coesistere e darsi forza vicendevolmente. In un certo senso, è quanto sta accadendo in questo momento, almeno per ciò che concerne la BCE. Ne parliamo nei prossimi paragrafi.

Il 2020 della Federal Reserve

Fino a qualche mese fa, nessuna nube gravitava sopra la Federal Reserve. L’economia americana andava a gonfie vele, il sistema sembrava reggere il programma di aumento dei tassi di interesse, che si era reso necessario dopo la politica monetaria estremamente espansiva messa in atto per sconfiggere la crisi del 2008. Questo assetto sembrava non dover essere messo in discussione nemmeno dall’avvicendamento al vertice tra la Yellen e Powell. A tal punto che, per il 2019, era previsto almeno un rialzo dei tassi.

Poi, è accaduto qualcosa. Nello specifico, l’intensificarsi della guerra commerciale USA e Cina, il peggioramento del quadro economico internazionale e, soprattutto, i primi segnali negativi dell’economia americana. Sia chiaro, questa è responsabile ancora di ottime prestazioni, ma non c’è dubbio che i timori per la fine del ciclo economico espansivo siano del tutto giustificati, se non altro per una questione temporale (tale ciclo dura ormai da molto tempo). Questi segnali si sono fatti ancora più allarmanti quando è diventato chiaro che la maggior fonte di preoccupazione sarebbe stata proprio l’inflazione. Un po’ a sorpresa, i prezzi hanno iniziato a rallentare. Attualmente, le proiezioni parlano di una inflazione annua bel al di sotto del 2%, con performance mensili pessime e in alcuni casi di segno negativo.

Ciò ha innescato le reazioni dell’amministrazione Trump, che sta facendo pressioni affinché la Federal Reserve imprima una svolta alla politica monetaria. Il presidente non solo ha chiesto di sospendere l’aumento dei tassi, ma ha addirittura caldeggiato una diminuzione. Insomma, un dietrofront notevolissimo. E Powell, dopo molte insistenze, ha almeno parzialmente sposato la visione di Trump, diminuendo i tassi di 25 punti bassi nel meeting del 31 luglio, dichiarando però che la misura potrebbe rivelarsi un una tantum.

Questo però non potrebbe essere l’unico incidente di percorso. Il 2020 rimane incerto, e potrebbe vedere una svolta a lungo termine della politica monetaria. L’abbassamento dei tassi potrebbe estendersi nel medio periodo, piuttosto che rivelarsi (come in effetti pare in questo momento) del tutto estemporaneo.

Il 2020 della BCE

La posizione della BCE è all’apparenza più chiara. Ma andiamo con ordine. Nel 2015 la banca centrale europea ha fatto partire il primo programma di Quantitative Easing della sua storia, preoccupata dalla bassissima inflazione e, in realtà, anche dalle condizioni economiche pessime. Secondo alcuni, un intervento tardivo. Secondo altri, addirittura, una soluzione estrema. Ad ogni modo, il QE europeo ha procurato più di qualche beneficio all’economia europea, che si è quindi portata vicino ai livelli pre-crisi e comunque, pur nelle differenze tra stato membro e stato membro, ha prodotto una serie di segni più. I risultati si sono rivelati più scarsi sul fronte inflazione. Essa è aumentata, ma è apparsa sempre piuttosto lontana dall’obiettivo del 2%. E poi va segnalato l’effetto ottico dato dall’aumento per cause geopolitiche degli energetici.

La BCE, comunque moderatamente soddisfatta dei risultati, ha terminato come da programma il Quantitative Easing il 31 dicembre 2018. Poi, anche sul fronte europeo il contesto è mutato in maniera repentina. La crescita, trainata al ribasso dalle tensioni commerciali, è crollata un po’ dappertutto. Come se non bastasse, l’inflazione è iniziata a calare. Sicché il 2% che prima appariva lontano, è diventato semplicemente irraggiungibile.

Cosa ha in mente la BCE? Non è necessario travestirsi da indovini per capirlo. E’ stato Mario Draghi ad anticipare le intenzioni della banca centrale, dapprima presentando alcune soluzioni come soluzioni ad eventualità remote, poi parlando di concrete possibilità. Il riferimento è, ovviamente, a una ripresa del programma di Quantitative Easing e a una posticipazione a data da destinarsi per l’aumento dei tassi.

Questa mezza giravolta non dovrebbe destare sorpresa. Anche perché Mario Draghi, ufficialmente, non ha mai chiuso la porta a un ritorno del Quantitative Easing. Appunto, ha sempre dichiarato che se ce ne fosse stato bisogno il QE sarebbe stato riesumato.

E’ proprio quello che potrebbe accadere nel 2020. Ci sono molte probabilità che questa eventualità si verifichi? In realtà sì, anche perché i segnali che arrivano dall’economia reale e dai prezzi (europei) sono pessimi. Persino la locomotiva Germania si sta fermando. Dopo l’Italia, è il paese dell’Unione Europea con la stima 2019 più bassa.

L’impatto sul Forex

Tutto ciò che impatto avrà sul Forex? Ovvero, cosa accadrà all’euro-dollaro (e agli altri cambi) se la Fed adottasse ufficialmente una politica monetaria espansiva e se tornasse il Quatitative Easing in Europa? Gli scenari sono due, e si caratterizzano entrambi per una ragione politico-istituzionale.

Il primo scenario suggerisce un impatto ridotto. Essenzialmente per due motivi: uno, se sia la BCE che la FED allentano i cordoni della borsa, producono in realtà due effetti che si annullano. Più che altro, si assisterebbe a un euro-dollaro dal trend simile a quello odierno, ma a una euro e a un dollaro in fase discendente rispetto alle altre valute. Il secondo motivo riguarda il modo con cui queste svolte verranno gestite. Se sia la BCE che la FED andranno con i piedi di piombo, eviteranno i gesti improvvisi e informeranno in maniera dettagliata gli investitori, qualsiasi cambiamento verrà scontato con estrema gradualità dal mercato.

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Il secondo scenario, a dire il vero abbastanza improbabile, è quello di un contesto che andrà incontro a un peggioramento superiore a quanto previsto, il ché darà adito a un accomodamento ancora più radicale delle politiche monetarie. A questo punto si assisterebbe a una specie di competizione indiretta a chi instaura la politica monetaria più espansiva. Le conseguenze sul fronte valuta sarebbero abbastanza radicali, con oscillazioni molto forti e un ago della bilancia che penderebbe ora verso l’una ora verso l’altra parte, a seconda del comportamento delle banche centrali e delle prestazioni dell’economia.