L’escalation militare USA ridefinisce gli equilibri del mercato petrolifero
Il mercato petrolifero sta attraversando una fase di profonda incertezza dopo l’intervento diretto degli Stati Uniti nel conflitto tra Iran e Israele. Gli analisti del settore prevedono che il prezzo del greggio potrebbe raggiungere i 100 dollari al barile qualora lo Stretto di Hormuz venisse chiuso, con conseguenze potenzialmente devastanti per l’economia globale. I futures petroliferi hanno registrato un rialzo superiore al 2% nelle prime ore di contrattazione asiatiche. Il WTI statunitense è salito oltre il 2% a 75,22 dollari al barile, mentre il Brent, benchmark globale, ha guadagnato quasi il 2% attestandosi a 78,53 dollari al barile.
Rischio di shock petrolifero senza precedenti
Saul Kavonic, analista senior del settore energetico presso MST Marquee, avverte che il mercato potrebbe sperimentare “interruzioni dell’offerta senza precedenti nelle prossime settimane”, di natura molto più grave rispetto allo shock dei prezzi petroliferi del 2022 seguito all’invasione russa dell’Ucraina. Gli investitori stanno monitorando attentamente la reazione di Teheran dopo gli attacchi statunitensi alle sue strutture nucleari. Il ministro degli esteri iraniano ha dichiarato che il suo paese si riserva “tutte le opzioni” per difendere la propria sovranità, alimentando ulteriormente le tensioni geopolitiche.
La reazione del mercato e le prospettive future
Sebbene la reazione del mercato dopo gli attacchi statunitensi sia stata meno aggressiva rispetto a poco più di una settimana fa, quando Israele ha lanciato attacchi aerei contro l’Iran, gli osservatori del settore ritengono che gli ultimi sviluppi inaugurino una nuova era di volatilità per i mercati petroliferi. Andy Lipow di Lipow Oil Associates sottolinea come “questa volta sia diverso”, data la raffica di missili lanciati per oltre una settimana e ora il coinvolgimento diretto degli USA. La situazione attuale porta con sé un peso specifico differente rispetto alle crisi precedenti.
Lo Stretto di Hormuz: l’arteria vitale del commercio petrolifero globale
Le minacce di bloccare lo Stretto di Hormuz, dopo che il parlamento iraniano ne ha approvato la chiusura secondo i media statali, hanno intensificato le preoccupazioni del mercato. Lo stretto, che collega il Golfo Persico al Mar Arabico, rappresenta un’arteria critica per il commercio petrolifero globale con circa 20 milioni di barili di petrolio e prodotti petroliferi che lo attraversano ogni giorno, pari a quasi un quinto delle spedizioni petrolifere mondiali.
Scenari di escalation e impatto sui prezzi
Se l’Iran dovesse effettivamente chiudere lo Stretto di Hormuz, le forze occidentali probabilmente “entrerebbero direttamente nel conflitto” per tentare di riaprirlo, secondo Kavonic. In questo scenario, i prezzi del petrolio potrebbero avvicinarsi ai 100 dollari al barile e ritestare i massimi visti nel 2022, se la chiusura dovesse protrarsi oltre qualche settimana. “Anche un certo grado di disturbo del passaggio attraverso lo Stretto, senza una chiusura completa, potrebbe comunque provocare un serio aumento dei prezzi del petrolio”, ha aggiunto l’analista energetico senior.
Capacità militari iraniane e potenziali conseguenze economiche
Bob McNally, presidente di Rapidan Energy Group, evidenzia che mentre gli Stati Uniti e le forze militari alleate alla fine riapriranno lo Stretto, se l’Iran impiegasse tutti i suoi mezzi militari, il conflitto potrebbe “durare più a lungo delle ultime due guerre del Golfo”. L’Iran possiede la capacità di: – Attaccare la produzione energetica del Golfo – Interrompere i flussi petroliferi – Disturbare le spedizioni di petrolio e GNL – Provocare un forte aumento dei prezzi energetici McNally avverte che “una chiusura prolungata o la distruzione di infrastrutture energetiche chiave del Golfo potrebbe spingere i prezzi del greggio oltre i 100 dollari”.
Volatilità ai massimi dal 2022
L’indice di volatilità del petrolio greggio CBOE, che misura l’aspettativa del mercato sulla volatilità a 30 giorni dei prezzi del petrolio greggio, si trova ai livelli di marzo 2022, raggiunti poco dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Questo indicatore conferma l’elevato stato di allerta dei mercati finanziari.
Precedenti storici e valutazioni strategiche
L’Iran ha già minacciato di chiudere lo Stretto di Hormuz in passato: – Nel 2018, durante le tensioni aumentate dopo l’uscita degli USA dall’accordo nucleare – Nel 2011 e 2012, quando alti funzionari iraniani avvertirono di una possibile chiusura in risposta alle sanzioni occidentali Tuttavia, Vandana Hari, fondatrice e CEO di Vanda Insights, osserva che le minacce di bloccare lo stretto sono state per lo più retoriche, con esperti che affermano sia fisicamente impossibile farlo completamente. “Il quadro è un po’ misto, e penso che i trader preferiranno essere cauti, senza farsi prendere dal panico a meno che non ci siano prove più concrete”, ha dichiarato.
Le infrastrutture energetiche rimangono fuori dal mirino
Rebecca Babin, senior energy trader presso CIBC Private Wealth, nota un aspetto significativo: “Le infrastrutture energetiche iraniane non sono state un obiettivo finora”, nonostante le recenti conflagrazioni. Questo suggerisce che entrambe le parti abbiano un incentivo a mantenere il petrolio fuori dalla linea di fuoco, almeno per il momento. Questa dinamica potrebbe rappresentare un fattore stabilizzante temporaneo, ma la situazione rimane estremamente fluida e soggetta a rapidi cambiamenti in base agli sviluppi geopolitici e alle decisioni strategiche delle parti coinvolte.