Il rapporto NFP scatena un rapido cambio di rotta della Fed
Il recente rapporto sui Non-Farm Payrolls (NFP) ha innescato un’immediata inversione di marcia nella Federal Reserve, dimostrando come la banca centrale americana non abbia il coraggio di guardare oltre una temporanea debolezza del mercato del lavoro. Dopo la pubblicazione di dati occupazionali più deboli del previsto, diversi membri del Federal Open Market Committee (FOMC) si sono schierati a favore di un taglio dei tassi già a settembre. Analizzando nel dettaglio, i numeri non erano così negativi come suggerirebbe la reazione del mercato, ma considerando che gli investitori erano posizionati per un report solido e che le aspettative si erano spostate verso una politica più restrittiva dopo l’ultima decisione della Fed, i dati deludenti sono bastati per innescare un rapido repricing.
Il mercato riprezza aggressivamente le aspettative sui tassi
Il mercato ora prezza 60 punti base di allentamento monetario entro fine anno, rispetto ai soli 35 punti base previsti prima della pubblicazione del NFP. Questo repricing è stato consolidato dalle dichiarazioni di diversi esponenti della Fed che hanno aperto la porta a un taglio imminente. I governatori Williams, Daly e Kashkari hanno tutti citato la debolezza del mercato del lavoro come motivazione per un taglio preventivo dei tassi. Paradossalmente, prima del rapporto NFP, gli stessi funzionari sostenevano la necessità di bilanciare entrambi i lati del mandato della Fed, sottolineando come la stabilità dei prezzi richiedesse maggiore attenzione dato che l’inflazione rimane ancora più vicina al 3% che all’obiettivo del 2%.
Una reazione eccessiva che potrebbe rivelarsi controproducente
È bastato un singolo dato deludente sull’occupazione per provocare questo repentino cambio di prospettiva. Dov’è finito il principio secondo cui “il taglio dei tassi alla prossima riunione sarà deciso dalla totalità dei dati disponibili”? Mentre è normale che il mercato reagisca e modifichi le aspettative basandosi su un singolo punto dati, la Fed sta reagendo in modo eccessivo proprio come il mercato, esponendosi al rischio di un errore di politica monetaria. Se il mercato del lavoro è effettivamente in salute e la Fed procede comunque con un taglio, c’è un’alta probabilità che finisca per tagliare i tassi proprio mentre l’economia sta rimbalzando, amplificandone lo slancio.
L’incertezza tariffaria come fattore temporaneo
È noto che l’incertezza sulle tariffe commerciali ha sostanzialmente congelato il mercato del lavoro e gli investimenti aziendali. Tuttavia, questa è ormai storia passata. Con maggiore chiarezza sul fronte tariffario, le imprese potrebbero tornare ad assumere e investire più attivamente, specialmente con probabilità crescenti di tagli dei tassi.
Segnali contrastanti dal mercato del lavoro americano
Le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti hanno delineato un mercato del lavoro caratterizzato da “bassi licenziamenti, basse assunzioni”, mentre sondaggi come i PMI continuano a segnalare elevate pressioni inflazionistiche. Oggi avremo i nuovi dati sui jobless claims e la prossima settimana l’indice dei prezzi al consumo (CPI), che potrebbero modificare significativamente le aspettative del mercato. Dati solidi probabilmente innescherebbero un repricing più hawkish, mentre dati deboli rafforzerebbero le scommesse sui tagli dei tassi e potrebbero aumentare ulteriormente le probabilità di un terzo taglio.
Il rendimento del Treasury a 10 anni come indicatore chiave
Se la Fed continuerà con la sua retorica dovish nonostante dati più forti, basandosi esclusivamente sul NFP, sarà fondamentale monitorare il rendimento del Treasury a 10 anni. Questo indicatore rivelerà se il mercato teme effettivamente un errore di politica monetaria. Paradossalmente, anche se la Fed dovesse tagliare i tassi, i rendimenti probabilmente salirebbero (contrariamente a quanto alcuni potrebbero pensare) poiché il mercato sconterebbe un premio per l’inflazione più elevato. Questo scenario evidenzierebbe come un allentamento prematuro della politica monetaria potrebbe rivelarsi controproducente, alimentando pressioni inflazionistiche proprio quando l’economia mostra segni di resilienza.