La Federal Reserve verso una svolta decisiva nella politica monetaria

Il panorama economico statunitense sta subendo una trasformazione rapida e significativa, spingendo la Federal Reserve a riconsiderare la propria strategia sui tassi d’interesse. I recenti dati sull’occupazione e gli indicatori di crescita economica hanno suonato un campanello d’allarme che non può essere ignorato.

Il mercato del lavoro mostra crepe preoccupanti

Il report sull’occupazione di venerdì scorso ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta. Con soli 73.000 nuovi posti di lavoro creati a luglio e una revisione al ribasso di ben 250.000 unità per i due mesi precedenti, il quadro occupazionale appare decisamente meno solido di quanto precedentemente stimato dal presidente della Fed Jerome Powell.

La composizione qualitativa dell’occupazione desta preoccupazione

Un’analisi più approfondita rivela che l’89% di tutti i posti di lavoro creati negli ultimi 31 mesi proviene da settori come sanità privata, istruzione, amministrazione pubblica e servizi di ospitalità. Questi settori sono caratterizzati da: – Retribuzioni mediamente inferiori – Minore sicurezza lavorativa – Maggiore incidenza di contratti part-time Gli altri settori dell’economia, che rappresentano la maggior parte del PIL americano, hanno registrato perdite nette negli ultimi tre mesi consecutivi.

I segnali di allarme dai consumatori americani

Le percezioni dei consumatori sul mercato del lavoro sono ancora più pessimistiche dei dati ufficiali. L’indice del Conference Board che misura la facilità di trovare lavoro suggerisce che il tasso di disoccupazione potrebbe salire oltre il 5%. Parallelamente, le aspettative di disoccupazione misurate dall’Università del Michigan hanno raggiunto livelli che sono stati superati solo cinque volte negli ultimi 50 anni.

L’impatto sulla crescita economica

I sondaggi ISM su manifatturiero e servizi dipingono un quadro coerente con una crescita del PIL che potrebbe rallentare verso l’1% su base annua nella seconda metà dell’anno. Il dato del secondo trimestre, apparentemente robusto al 3%, nasconde debolezze strutturali: – Consumi privati cresciuti solo dell’1,4% trimestrale annualizzato – Investimenti fissi non residenziali aumentati dell’1,9% – Investimenti residenziali in calo del 4,6% – Spesa per costruzioni in diminuzione per otto mesi su dieci

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L’inflazione: meno minacciosa del previsto

Nonostante i timori legati all’impatto dei dazi commerciali sui prezzi, le prospettive inflazionistiche appaiono meno preoccupanti di quanto temuto. Sebbene sia probabile assistere a incrementi mensili dello 0,4% o occasionalmente dello 0,5% nei prossimi tre-quattro mesi, si tratta di un aumento una tantum dei prezzi piuttosto che di una spirale inflazionistica duratura.

I fattori disinflazionistici in gioco

A differenza del periodo 2021-2022, quando i prezzi del petrolio triplicarono e il mercato immobiliare era in ebollizione, oggi assistiamo a: – Raffreddamento degli affitti immobiliari – Pressioni salariali in diminuzione – Mercato del lavoro meno surriscaldato – Prezzi energetici stabili Questi elementi dovrebbero compensare l’effetto dei dazi nei prossimi trimestri, mantenendo l’inflazione sotto controllo.

La Fed verso tre tagli dei tassi nel 2025

I governatori Chris Waller e Michelle Bowman hanno espresso preoccupazione che la Fed stia agendo con “eccessiva cautela” e rischi di “rimanere indietro rispetto alla curva”. Questa visione sta guadagnando consenso, con Mary Daly della Fed di San Francisco che ora prevede più di due tagli nel 2025.

Le proiezioni di mercato si adeguano

I mercati hanno già iniziato a scontare questo cambio di rotta: – 23 basis point di tagli previsti per settembre – 59 basis point cumulativi entro dicembre – Aspettative di un tasso dei Fed funds sotto il 4% entro fine anno La strategia più probabile prevede tagli da 25 basis point a settembre, ottobre e dicembre, portando il range dei tassi a 3,75%-3,50%, ancora sopra il livello del 3% che la Fed considera neutrale nel lungo periodo.

Le prospettive per il 2026 e oltre

Per il 2026 si prevedono ulteriori 50 basis point di tagli nella prima parte dell’anno. Un elemento cruciale sarà la nomina di un nuovo governatore della Fed in sostituzione di Adriana Kugler, che potrebbe diventare il candidato del presidente Trump per la presidenza della Fed quando scadrà il mandato di Powell nel maggio prossimo. Con Powell che dovrebbe lasciare anche il Board of Governors, la Fed potrebbe assumere un orientamento più accomodante dal secondo trimestre 2026, aprendo la possibilità a tagli più profondi e rapidi di quanto attualmente previsto. La Federal Reserve si trova quindi di fronte a una sfida delicata: bilanciare la necessità di sostenere un’economia in rallentamento con il rischio di riaccendere pressioni inflazionistiche. I prossimi mesi saranno cruciali per determinare la traiettoria della politica monetaria americana e il suo impatto sui mercati globali.

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