Il dilemma della Federal Reserve tra inflazione e mercato del lavoro

La Federal Reserve si trova a camminare su un filo del rasoio, e Jerome Powell ne è pienamente consapevole. Martedì scorso, il presidente della banca centrale americana ha ricordato ai mercati che “non esiste un percorso di politica monetaria privo di rischi”. Un’affermazione tanto ovvia quanto inquietante, che ha colpito duramente un’economia già sotto pressione tra un’inflazione persistente e un mercato del lavoro in rallentamento. Gli investitori, abituati a interpretare ogni minimo segnale della Fed come una profezia, non hanno tardato a reagire. Gli indici azionari, reduci da massimi storici, hanno vacillato martedì. L’S&P 500 è sceso dello 0,55%, il Nasdaq 100 ha perso lo 0,73% e il Dow ha chiuso in lieve ribasso. Powell non aveva annunciato una nuova politica, né si era impegnato in tal senso. Ma quando si tratta di banche centrali, ciò che non viene detto spesso conta quanto ciò che viene dichiarato.

La fragilità della fiducia dei mercati

I mercati vivono e muoiono di fiducia, e la fiducia si è dimostrata fragile. Il taglio dei tassi di un quarto di punto della Federal Reserve ad agosto aveva sostenuto le azioni e rafforzato la convinzione che ulteriori allentamenti fossero inevitabili. I mercati dei futures ora prezzano con oltre il 90% di probabilità un altro taglio alla riunione di ottobre della Fed. Questa convinzione persiste nonostante Powell abbia accuratamente evitato qualsiasi promessa. Qui sta il paradosso: la Fed conduce la politica in tempo reale, ma gli investitori operano sulle aspettative. Il mercato obbligazionario, spesso più rapido nel registrare il sentiment, ha riflesso le osservazioni di Powell con un leggero calo dei rendimenti decennali: un cenno verso l’allentamento previsto. Le azioni, al contrario, sono scese. La divergenza suggerisce che gli investitori credono che la Fed fornirà tagli, ma si chiedono se i tagli da soli saranno sufficienti in un’economia che affronta sia un’inflazione elevata che una crescita occupazionale in rallentamento.

La concentrazione del rally: un segnale di allarme

Il disagio è amplificato dalla natura del recente rally. Nonostante tutti i titoli sui massimi storici, l’ampiezza del mercato è stata allarmantemente ristretta. Negli ultimi tre mesi, solo il 17% dei titoli nell’S&P 500 ha sovraperformato l’indice stesso, secondo Charles Schwab. In altre parole, un piccolo gruppo di società tecnologiche a mega capitalizzazione ha trascinato l’indice verso l’alto, mentre la maggioranza delle società quotate resta indietro. Tale concentrazione comporta rischi significativi. Quando solo una manciata di titoli alimenta la performance, l’euforia può trasformarsi rapidamente in fragilità. Gli investitori ricordano la bolla internet della fine degli anni ’90, ma il mercato odierno è probabilmente più precario proprio perché è più ristretto. Gli algoritmi e i fondi indicizzati amplificano l’attrazione gravitazionale di poche società, creando valutazioni torreggianti che sembrano più esposizione che trionfo.

L’inflazione: il nodo gordiano della politica monetaria

Al centro dell’atto di equilibrio di Powell c’è la questione ancora irrisolta dell’inflazione. Più avanti questa settimana, il Dipartimento del Commercio rilascerà l’indice delle spese per consumi personali core: l’indicatore preferito dalla Fed. Se il numero dovesse risultare più alto del previsto, Powell affronterà rinnovate pressioni per rallentare il ritmo dell’allentamento. Un dato più morbido incoraggerebbe coloro che spingono per tagli più rapidi. Il dilemma non è semplicemente statistico. L’inflazione riguarda tanto la psicologia quanto gli indici dei prezzi. Il ricordo dell’impennata del 2021-2022 persiste ancora nelle menti dei consumatori, plasmando le richieste salariali e i modelli di spesa. Anche se i dati ufficiali suggeriscono moderazione, il fantasma dell’inflazione perseguita l’economia, ricordando a Powell che la credibilità, una volta persa, non può essere rapidamente recuperata.

L’impatto sull’economia reale

Al di là delle astrazioni dei rendimenti obbligazionari e dei futures, il mercato immobiliare, martoriato dagli alti costi di finanziamento, continua a lottare con l’accessibilità. I costruttori esitano a impegnare capitale, i consumatori esitano ad accendere mutui e la domanda ristagna. I mercati del lavoro, sebbene ancora resilienti, stanno iniziando ad ammorbidirsi: le offerte di lavoro sono meno numerose, la crescita salariale sta rallentando e i licenziamenti, sebbene non diffusi, non sono più rari. Per i lavoratori, il calcolo è immediato. Tassi più bassi potrebbero preservare i posti di lavoro ma erodere il valore degli stipendi attraverso un’inflazione più alta. Tassi più alti potrebbero stabilizzare i prezzi ma minacciare l’occupazione. Per Powell, non esiste una risoluzione pulita: solo compromessi. Il suo riconoscimento che “non esiste un percorso privo di rischi” non era meramente retorico: era un’ammissione dei limiti strutturali della banca centrale.

Rischi geopolitici e implicazioni di mercato

In altre notizie, Donald Trump, che solo pochi giorni prima aveva utilizzato il palcoscenico delle Nazioni Unite per riaffermare la sua posizione muscolare sulla politica estera, ha indurito la sua posizione sulla Russia. Ha anche segnalato la volontà di coinvolgere Washington più direttamente nell’industria, come evidenziato dai colloqui su una potenziale partecipazione governativa in Lithium Americas, la società dietro un importante progetto di litio in Nevada. I prezzi del petrolio sono già aumentati in previsione di una maggiore tensione geopolitica, un promemoria che i mercati sono ora legati non solo alle banche centrali ma anche ai pronunciamenti presidenziali. Per gli investitori, l’implicazione è sobria: l’analisi finanziaria è inseparabile dal rischio politico. I titoli della difesa in Europa potrebbero beneficiare della retorica bellicosa di Trump sull’Ucraina, mentre le materie prime rispondono in tempo reale alle posture diplomatiche. La linea tra mercato e stato diventa sempre più sottile.

Le reazioni dei mercati globali

Mercoledì mattina, i futures S&P 500 e Nasdaq sono saliti leggermente, invertendo parte del calo di martedì. La maggior parte dei mercati dell’Asia-Pacifico ha chiuso la sessione in rosso. Mentre il Giappone negozia intorno all’equilibrio, India e Corea del Sud erano in calo dello 0,5%, mentre Taiwan è scesa dello 0,3% e l’Australia circa dell’1%. La Cina continentale e Hong Kong sono eccezioni, con mercati in rialzo durante la sessione. Gli indicatori anticipatori sono ribassisti in Europa. La dichiarazione di Powell che “non esiste un percorso privo di rischi” risuona come un avvertimento per tutti gli attori del mercato: in un mondo di incertezze interconnesse, la Fed può guidare ma non può garantire. E forse, in ultima analisi, questa è la lezione più importante per investitori e policy maker: riconoscere i limiti del controllo in un sistema economico sempre più complesso e interdipendente.