La reazione contenuta dei mercati agli attacchi americani

I mercati finanziari globali hanno mostrato una reazione sorprendentemente moderata agli attacchi statunitensi contro l’Iran, contrariamente alle aspettative di molti analisti che prevedevano turbolenze significative. Questa risposta misurata rappresenta un netto contrasto rispetto alla volatilità osservata appena una settimana fa, quando Israele aveva condotto raid aerei contro obiettivi iraniani. L’indice MSCI World, che monitora oltre mille società a grande e media capitalizzazione provenienti da 23 mercati sviluppati, ha registrato un calo marginale dello 0,1% alle 9:30 ora di Londra. Le borse europee hanno rapidamente recuperato le perdite iniziali, con lo Stoxx 600 paneuropeo che ha virato in territorio positivo dopo un’apertura negativa. Anche i futures americani hanno mostrato segnali di forza, con i contratti legati all’S&P 500 in rialzo dello 0,2%.

Asset rifugio: una risposta tiepida all’escalation

Gli asset tradizionalmente considerati beni rifugio hanno registrato movimenti contenuti. Il rendimento del Treasury decennale americano è salito di soli 2 punti base, mentre l’oro spot ha ceduto lo 0,2%, attestandosi intorno ai 3.359 dollari l’oncia. Il franco svizzero, storicamente apprezzato nei momenti di tensione geopolitica, è rimasto sostanzialmente invariato rispetto al dollaro americano, che ha invece guadagnato terreno contro diverse valute.

L’interpretazione degli analisti

Dan Ives, managing director di Wedbush, ha offerto una chiave di lettura interessante: “I mercati interpretano l’attacco all’Iran come un sollievo, con la minaccia nucleare ora eliminata per la regione”. Questa prospettiva suggerisce che gli investitori vedano nell’azione militare americana una riduzione del rischio sistemico piuttosto che un’escalation pericolosa. La maggior parte degli esperti del settore concorda nel ritenere che gli ultimi sviluppi, pur nella loro gravità, non rappresentino un rischio sistemico per i mercati globali. L’attacco americano alle infrastrutture nucleari iraniane, annunciato dal presidente Donald Trump, viene percepito come un’azione contenuta e mirata.

Lo Stretto di Hormuz: il vero rischio per i mercati

Il ministro degli esteri iraniano ha avvertito che il suo paese si riserva “tutte le opzioni” per difendere la propria sovranità. Secondo i media statali iraniani, il parlamento ha approvato la possibilità di chiudere lo Stretto di Hormuz, un passaggio cruciale per il commercio petrolifero globale attraverso cui transitano quotidianamente circa 20 milioni di barili di petrolio e prodotti petroliferi.

Scenari di mercato e probabilità

Peter Boockvar, chief investment officer di Bleakley Financial Group, ha delineato gli scenari possibili: “Tutto dipende dalla risposta iraniana. Se accettano la fine delle loro ambizioni nucleari militari, questo potrebbe essere la fine del conflitto e i mercati staranno bene”. Boockvar non ritiene probabile che l’Iran interrompa le forniture petrolifere globali. Marko Papic, chief strategist di GeoMacro Strategy, ha quantificato il rischio peggiore: “Se chiudessero lo Stretto, i prezzi del petrolio supererebbero i 100 dollari, paura e panico prenderebbero il sopravvento, le azioni scenderebbero di almeno il 10% e gli investitori si rifugerebbero nei beni rifugio”. Tuttavia, Papic sottolinea che i mercati sono tranquilli proprio per gli “strumenti limitati” a disposizione di Teheran per ritorsioni efficaci.

Precedenti storici e credibilità delle minacce

La minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz è stata utilizzata ripetutamente dall’Iran come strumento retorico, ma non è mai stata attuata. Nel 2018, l’Iran lanciò avvertimenti simili dopo il ritiro americano dall’accordo nucleare e il ripristino delle sanzioni. Minacce analoghe furono pronunciate nel 2011 e 2012, quando alti funzionari iraniani, incluso l’allora vicepresidente Mohammad-Reza Rahimi, ventilarono la chiusura del passaggio marittimo in risposta alle sanzioni occidentali. “Teheran comprende che, se dovessero chiudere lo Stretto, la ritorsione americana sarebbe rapida, punitiva e brutale”, ha aggiunto Papic, evidenziando il deterrente che impedisce all’Iran di trasformare le minacce in azioni concrete.

Prospettive rialziste per il mercato americano

Ed Yardeni, fondatore di Yardeni Research, mantiene una visione ottimista sul mercato azionario statunitense nonostante le tensioni geopolitiche. “Trump ha appena ristabilito le capacità di deterrenza militare dell’America, aumentando così la credibilità del suo mantra ‘pace attraverso la forza’”, ha affermato Yardeni, che prevede un target di 6.500 punti per l’S&P 500 entro la fine del 2025. L’analista ritiene che il Medio Oriente sia destinato a una “trasformazione radicale” ora che le strutture nucleari iraniane sono state neutralizzate, suggerendo che questo potrebbe paradossalmente portare a una maggiore stabilità regionale nel lungo termine.

Implicazioni per gli investitori

La reazione contenuta dei mercati suggerisce che gli investitori hanno già scontato gran parte del rischio geopolitico nei prezzi correnti. La percezione che il conflitto rimanga isolato e gestibile sta sostenendo la propensione al rischio, con i mercati azionari che mantengono una traiettoria positiva nonostante le tensioni. Per i trader e gli investitori, il monitoraggio delle prossime mosse iraniane rimane cruciale. Qualsiasi segnale di de-escalation potrebbe fornire ulteriore supporto ai mercati risk-on, mentre eventuali azioni concrete contro le infrastrutture petrolifere globali potrebbero innescare una rapida rivalutazione del rischio e una fuga verso la qualità.